Sono anni ormai che vivo la condizione di atipico. Inizialmente non la volevo, puntavo all'assunzione o comunque a far parte stabilmente di una struttura. Credevo di avere, forse ci credo ancora, uno spirito aziendalista: ovvero avrei dedicato volentieri, anche oltre orari prestabiliti, il mio tempo e la mia passione alla "MIA" azienda.
Un approccio "corporate" che, tuttavia, non ho mai avuto il piacere di sperimentare. O meglio, ho sperimentato la passione per il lavoro ma senza alcuna garanzia di stabilizzazione.
Ora non cerco più l'assunzione e per orgoglio ho deciso di mettermi in proprio.
È una giusta decisione? Difficile dirlo.
Ma penso che noi atipici abbiamo, per alcuni aspetti, una marcia in più. Siamo in grado di tenere la barra dritta in condizioni di incertezza, non lasciandoci sopraffare da inutili ansie. Anche se spesso il nostro futuro lavorativo dipende da singole persone che ci firmano il contratto, siamo alla lunga meno paurosi dei dipendenti rispetto a cosa può pensare o dire di noi il nostro capo.
Anche perché non abbiamo un capo ed è bene che ce lo ricordiamo. La nostra permanenza in un luogo di lavoro può dipendere da fattori di bilancio, o da variabili non controllabili - un altro può essere preferito a noi per motivi clientelari - ma in fondo siamo abituati a valorizzare i nostri meriti ed impariamo, per sopravvivere professionalmente, ad avere consapevolezza delle nostre competenze oltreché dei nostri limiti.
Ci adattiamo facilmente alle situazioni più disparate e vantiamo un ammirevole grado di sopportazione delle meschinità, ingiustizie, piccoli cabotaggi per la carriera.
Siamo bravi e meritiamo di più.
Mi spingo oltre: saremo noi il nerbo della ripresa economica, culturale e morale di questo sfortunato Paese.
Forse esagero?
Siamo bravi e meritiamo di più.
Mi spingo oltre: saremo noi il nerbo della ripresa economica, culturale e morale di questo sfortunato Paese.
Forse esagero?
Abbiamo già sacrificato le nostre ambizioni lasciando spazio ad incompetenti e mediocri. Ora è il momento di riconoscersi, mettersi in relazione e rompere gli equilibri consolidati. Nel lavoro, possiamo definitivamente emanciparci dando vita alle nostre idee in qualunque contesto veniamo a trovarci. In fondo è quello che abbiamo sempre fatto quando i vecchi equilibri intergenerazionali reggevano ancora, seppur a scapito nostro.
Le opportunità non sono moltissime, ma proviamo a cogliere quelle disponibili!
L'unione dei cervelli fa la forza: cerchiamo di sviluppare una idea assieme ad altre persone che con noi condividono competenze, esperienze e passioni, o che rappresentano il giusto complemento alle nostre.
In due, tre, quattro persone possiamo avviare una società a responsabilità limitata semplificata, con 1 euro di capitale e nessuna spesa notarile.
Oppure, in presenza di una compagine ampia, creiamo una cooperativa che operi o meno nel sociale.
Anche il singolo ha la possibilità di farsi valere, avviando con pochissima spesa una ditta individuale: volendo proporre servizi professionali, non dovremmo neppure iscriverci al Registro delle imprese. Decidendo di darci da subito una struttura seppur minima, potremmo optare addirittura per la società a responsabilità limitata unipersonale.
Anche da privati dotati di competenze specifiche e di un curriculum accurato possiamo ambire ad una crescente valorizzazione economica pur mantenendo rapporti di collaborazione a progetto. In fiduciosa attesa che una idea, un'occasione o la nostra stessa caparbietà ci cambino la vita.
Dobbiamo rifiutare il falso modello del call center e trasformare la precarietà che ci attanaglia in indispensabilità delle nostre competenze e della nostra presenza seppur non registrata sul cartellino.
Ecco, in conclusione, il vademecum per l'atipico dell'anno 2013:
- scavare nella propria ricca esperienza formativa e professionale per identificare una o più idee da valorizzare
- cercare amici o colleghi o persone di fiducia che condividano o integrino o siano disposti a partecipare allo sviluppo della propria idea o di una idea comune
- proporre loro di costituire una società o associazione o gruppo informale per trasformare l'idea o le idee condivise in progetti ad alta redditività
- se tale auspicio non si realizzasse, optare senza troppi rimpianti per una attività individuale o per la valorizzazione del proprio curriculum da collaboratore a progetto
- studiare il mercato di riferimento, nell'accezione più ampia possibile - dal consumatore di prodotti al fruitore di servizi, dalla pubblica amministrazione agli utenti del terzo settore
- partire senza troppi dubbi né ripensamenti, valorizzando la propria flessibilità e fermezza d'animo accumulate in anni di vergognoso (concedetemelo) precariato
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